22 dicembre 2012

Lettera numero diec-i: Profumo di vittoria …



Libera uscita ad Arbroath questa mattina. Da giorni mi sento stuzzicare sul fatto che dovrei riprendere la mia professione storica. Le serate da William mi hanno reso una pseudo celebrità tra gli sfigati in questo bel borgo marittimo delle terre di Scozia dove però, piuttosto che apprezzare le rivisitazioni dei piatti locali in chiave Italian o fusion, i clienti mi chiedono a gran voce paste paste e ancora paste.

Come ogni buona prostituta di alto bordo ho accettato facendo cadere la cosa dall’alto, ma ho naturalmente inserito il risotto carnaroli e Vialone nano mantecati come bagaglio indiscutibile e irrinunciabile della nostra smisurata cultura eno-gastronomica.

Mantecatura del risotto neutro 1 in sala in forma di Parmigiano invecchiato 18 mesi, opportunamente scavato con un livello di maestria che credevo sopita da anni; grande successo di pubblico e critica. La cosa più eccitante di quel momento è stata quella datami da una scena quasi alla Truffaut a un tavolo di sole ragazze che sono progressivamente passate dal ridacchiare, al rispetto del ruolo e dell’impegno, a un timido cenno di ammiccamento di una del gruppo, visino davvero incantevole, solo un po’ troppo alta e rossa per i miei parametri. Voleremo in cielo in carne e ossa, capelli di fuoco, e non torneremo più se lo vorrai, così dimenticherò gli umori delle altre poche ma tremendamente generose donzelle incontrate sino ad ora.

Scrivo per l’ultima volta prima che alcune migliaia o forse milioni di idioti attendano mestamente la fine del mondo che coincide con il compleanno del guardiano del faro di Bell Rock. Visto che il mio secondo lavoro di scimmietta da ristorante assumerà una portata quasi professionale durante le festività Natalizie, è probabile che scriverò per l’ultima volta per questo malandato 2012.

Adesso sono realmente solo, ma se mi guardo indietro questa è la mia vita degli ultimi vent’anni. Piccoli gesti di tenerezza quasi implorata sul divano di casa mia in quel di Firenze erano solo un elegante modo di confondere l’amore con la dipendenza affettiva. Ero solo. Serate gastronomiche di buon livello dove ti ritagliano contro la tua volontà, quindici minuti di apparente gloria svaniti pochi istanti dopo, esattamente quando ti accorgi di essere una macchina da cucina e che di venire preso in considerazione solo ed esclusivamente per il fatto che produci cose discrete mantenendo tempistiche e food cost nei parametri che l’azienda ti ha fornito. Le persone ti chiedono come hai ottenuto una consistenza spumosa da del prezzemolo emulsionato mentre il loro tasso etilico sfiora l’arcobaleno e comunque, pur incontrandoli per dieci anni di fila al bar mai scenderebbero da lassù per chiederti “Ciao, come stai stronzo?”. Ero solo. Quando un giorno di circa venticinque anni fa un camionista falciò la vita dei miei genitori adottivi in una statale della provincia di Cuneo dopo essere partito dalla Slovenia senza praticamente mai fermarsi, affidando ad alcune birre il compito di tenerlo in guardia, ero solo. Solo in obitorio, solo al funerale, solo a casa, solo mentre mi tatuavano, solo in gradinata per tifare la Samp, solo in compagnia, solo al saggio di violino, solo al diploma, solo. Avete presente quando sei solo? La solitudine come mia unica compagna.

Riesco a gioire di tutto, anche di questo. La solitudine è diventata parte integrante della mia corazza di testuggine schizofrenica alla ricerca di mari nei quali diventare essa stessa un’isola aggirando, una volta per tutte, Zarathustra e le sue cazzo di isole beate. Mi eccito nel parlare con l’edicolante o con il panettiere come se questo potesse portare a uno sviluppo della mia rete sociale, e dopo aver fatto mille domande ed essendo entrato a conoscenza di incredibili verità nascoste, volto le spalle felice di non aver rivelato nulla di me se non inutili aspetti della mia non collocabile esistenza che rappresentano il mio ruolo sociale e non la mia persona. Rientrando nel negozio con un sorriso indefinibile, riguardi il negoziante e lo saluti educatamente lasciando trapelare una smorfia di condivisione di oscuri segreti dei quali solo lui e te potreste parlare nel retro bottega a bassa voce in due lingue differenti simultaneamente.

Nessuno sa come sono, nemmeno la mia Valchiria salterina che tanto mi ha dato e mi ha costruito. Nemmeno quello strano individuo che condivide con me lo specchio delle cinque e zero tre ogni mattina. Questa è la mia grande ineluttabile vittoria. Tre a zero contro il Barcellona del miglior Messi possibile. Ma che dico? Mi è apparso Rasputin in sogno dicendomi “Sei inquietante a volte”. Non ci siamo ancora!

Per la prima volta non trovo le parole adatte a descrivere il grado di eccitazione nel sentirsi libero di dire qualsiasi cosa a chiunque mantenendo un'unica espressione facciale e lasciando agli occhi il compito di conciliare l’animo delle persone facendo leva sui miei sentimenti (oggettivamente buoni).

Ho creato un mondo intorno a me nel quale inserire le briciole di pane che mi conducono a un grado di soddisfazione permanente, affittando al buon Dio un piccolo Bosco dei cento acri all’inizio del quale un malandato cartello ligneo reca una strana incisione: “Adnrew May”. (Nota 1)

Oggi tuttavia una verità sul guardiano persona la voglio rivelare, nella speranza che pochi o nessuno la vogliano leggere. La compagnia in realtà non mi manca mai e la mia è un’apparente solitudine. Parlo di mondi lontani o tempi passati raccontati dai miei vecchi francobolli, o delle emozioni che i miei autori preferiti hanno voluto cristallizzare su libri divenuti oggetti sacri. Parlo di foto sbiadite che ancora parlano di odori estivi che non torneranno più, e tremende giornate adolescenziali. Parlo della colonna sonora del mio percorso in questo angolo di universo, la musica che scalda il cuore. Parlo di giocattoli miracolosamente sopravvissuti all’orfanotrofio e gelosamente custoditi da quella parte incomprensibilmente apprensiva chiamata coscienza. E anche di film che nel cielo della mia memoria hanno lasciato una cicatrice di gioia, come velocissime stelle cadenti.
Vittoria in solitario.

 

Nota1: Si fa riferimento al bosco incantato dove vivono i personaggi di fantasia di Winnie the Pooh (Disney). In riferiemnto alla storpiatura. L'orsetto protagonista (Winnie the Pooh) vive in una casa all’entrata della quale c’è un cartello con una storpiatura del nome “Mr. Sanderz” anziché “Sanders”.

 

15 dicembre 2012

Lettera numero Nov-e: come un diamante in mezzo al cuore


COME UN DIAMANTE IN MEZZO AL CUORE…

Splendida è la vita con le sue milioni di pieghe, un libro scritto con la sabbia sul bagnasciuga in un giorno di mareggiata. Profumi, nausee e incredibili montagne russe compiute nel tentativo di essere differenti risultano alla fin fine incredibilmente identiche l’una all’altra.

Si dischiudono gli occhi e si respira profondamente ogni volta che suona la sveglia del gabbiano delle cinque in punto. Mentre fisso un punto a caso della stanza da letto e cerco di capire il titolo di un assurdo film d’avanguardia tedesco visto almeno quindici anni prima, mi ritrovo già ai posti di comando. Finito il film.

Quando ricorre un anniversario importante sono a dir poco elettrico, ogni oggetto metallico in grado di condurre elettricità lo farà, e la condurrà attraverso ogni mio poro. È una sorta di qualità, se vogliamo, un po’ come per i Fantastici Quattro, solo meno mirabolante. Un caro amico d’infanzia sostiene addirittura che una volta, mentre ci trovavamo intenti a giocare col computer a casa sua, mi levai con forza il mio maglione di lana e dal dorso della mia arsa mano infreddolita fuoriuscì un potente fulmine lungo alcuni centimetri.

Ah già, si parlava di una ricorrenza importante! Due anni di libertà incondizionata. È stato un percorso davvero pieno di ostacoli e molto articolato, ma dopo oltre 7 lustri passati in cambusa a cercare gli ingredienti per la ricetta del divenire un vero uomo, mi sono accorto che tutti i parametri con i quali avevo condotto la mia vita e la mia ricerca non erano particolarmente alti, e men che meno infallibili. La sensazione di sentirsi liberi dai giudizi altrui e dal senso di inadeguatezza che essi ci creano talvolta meritava proprio un segno sul calendario. Due anni passati fregandomene altamente di quello che chiunque potesse pensare di questo orfano esiliato.

Quando alcune tue certezze si sgretolano come cacca secca di mucca pestata in quegli aridi campi estivi in piena campagna toscana o, perché no, umbra, ci si sente deboli e insicuri.

Le persone con le quali fino a ieri probabilmente litigavi e che erano al centro dei tuoi deliri di onnipotenza distruttiva, non esistono più perché si sono perfettamente amalgamate alle altre creature: mondo.

Vi siete mai trovati a disagio? Siete mai stati messi in profondo imbarazzo da un indice puntato? Qualcuno ha mai sostenuto cose terribilmente odiose e fottutamente vere sul vostro conto? Non basta, cari ragazzi.

Cresci pensando che i veri uomini siano (im)probabili avventurieri con la gamba di legno strappata magari da un pescecane distratto nel famigerato Mar dei Sargassi, e poi ti svegli un giorno alla soglia dei quarant’anni con la certezza che la vera impresa eccezionale, come sosteneva lo splendido Lucio Dalla, è “essere normale”.

Vivi situazioni apparentemente insostenibili per alcuni mesi, e a distanza di alcuni giorni dal vissuto nemmeno ti ricordi quale cosa avesse potuto scatenare il tuo malessere. Un rigurgito di debolezza, tutto qui.

È bello sentirsi fintamente slegati dal mondo potendovi accedere in qualsiasi momento con un semplice click e potersi poi vantare dell’essere un cane sciolto. La banalità ha un gusto del tutto diverso in bocca quando la camuffi con una presunta brillantezza.

Notti insonni, incredibili fibrillazioni sonore mi hanno sempre permesso di poter coltivare le mie passioni mantenendo una parvenza di vita sociale e lavorativa normale; sono fottutamente felice di essere qui nel mio faro a scrivere a Mr. Nessuno in qualsiasi parte del mondo: vorrei conoscere il mandarino per poterlo dire ad oltre un miliardo di persone, ma mi accontento di un paio di amici che ogni tanto si ricordano del May con un comodo pollice alzato.

Sono certo che il mio cuore stia covando qualcosa ma non conosco il suo linguaggio, sebbene ne percepisca i sussulti che sono quasi sempre un preludio al cambiamento, allo slancio verso piccoli giganteschi traguardi.

La fede ha conquistato a piccoli passi tutto me stesso, e sarebbe superfluo  intavolare un discorso filosofico a riguardo: sono giunto a una interpretazione intesa come miglioramento. Credere in qualcosa ci spinge comunque a piccole tappe intermedie in quel viaggio chiamato vita che è un dono incredibile, tanto da commuovermi. Ho visto un amico piangere un giorno durante un temporale che ci aveva sorpreso in una tiepida estate di alcuni anni fa in occasione di una rimpatriata tra chef di cucina.

Lì per lì pensai alla famosa strofa de Il bombarolo di De André, ma guardandomi negli occhi il mio amico (Vale) mi disse che era felice che esistesse la pioggia e che l’acqua fosse una specie di reset della natura: una semplice manifestazione di quanto Dio (o chi per lui) fosse stato così grandioso da ricordarci la sua magnificenza con un semplice tocco d’artista. L’odore della natura dopo pochi minuti ci avvolse in un abbraccio che ci zittì e rimanemmo di pietra ad ammirare il mare nostro in abito grigio con la pace nel cuore.

L’elettricità svanisce con il grigio, si torna ad essere un comune individuo e si chiudono gli occhi.

Vita…