29 gennaio 2013

Lettera numero dodic-i: Cenerentola, nel mio faro, pressappoco verso l'ora del tè...


Cenerentola, nel mio faro, pressappoco verso l’ora del tè…
Benjamin mi fissa da circa dieci minuti. Contraccambio il suo sguardo con grande ammirazione e un pizzico di orgoglio. Penso che per avere quasi 166 anni è davvero molto in forma. Mi ricordo che lo vidi un giorno attraverso lo schermo del mio vecchio laptop, oramai trasformato in rifiuto pericoloso nella discarica di qualche paese povero, o forse no.

Abitavo ancora in quel di Firenze con la mia ex ex compagna, figlia di imprenditori di alimenti surgelati, ma questa è un’altra storia. Ebbene potevano essere più o meno le stesse ore di adesso, 4:50 PM, e nel meraviglioso capoluogo toscano avrei bevuto un ottimo caffè con la mia immancabile Bialetti da quattro porzioni caricata al 75% con acqua.
Lo avrei fatto, quel caffè così profumato e aromatico, se il Sig. Lucchi postino di 52 anni in forza da oltre 30 alle gloriose Poste Italiane non avesse suonato tre colpetti di citofono proprio all’interno 11 della bellissima via Porta Rossa, non lontano dall’omonimo hotel. Il signor Francesco (postino Lucchi per l’appunto) non poteva sapere che in quella busta proveniente da Walla Walla vicino a Seattle (stato di Washington, USA) dormiva, forse sballottato dal viaggio aereo, un piccolo signore molto famoso di 306 anni la cui unica responsabilità era quella di essere stato uno dei più grandi presidenti degli Stati Uniti d’America. Benjamin Franklin, per la cronaca. Potrebbe essere utile, ai fini della comprensione di questo breve e inutile racconto, sapere che stiamo parlando del primo francobollo degli USA intesi come nazione unitaria per quanto questo aggettivo strida con le reali differenze culturali tuttora esistenti tra uno Stato e l’altro nel suolo che Colombo considerava “le lontane Indie”.

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Il valore da 5 centesimi color marrone chiaro con quattro margini quasi perfetti: bellissimo! Dimenticai il caffè e mi misi in adorazione del mio primo “Franklin” importante in collezione.

Correva il primo luglio 1847 e il mio piccolo presidente venne alla luce sotto forma di francobollo. Il catalogo di francobolli americani più completo al mondo, lo Scott, lo definisce il “#1”. Ebbene i non collezionisti non possono sapere comunque che l’immediato successore filatelico del 5 centesimi Franklin, il “10 centesimi di Washington”, oltre ad essere più raro del precedente, sarebbe comunque diventato il pezzo simbolo per i filatelisti statunitensi con rammarico per il primo sfortunato Benjamin. A questa coppia di antichità aggiungo a titolo puramente informativo, come riscossa personale se vogliamo, un inarrivabile “one cent del 1° luglio1851 color azzurro/blu”, sempre raffigurante il buon Beniamino Franklin, la cui quotazione attuale per un bell’esemplare nuovo e perfettamente conservato accarezza l’interessante cifra di 225.000,00 euro. (No, lettori non collezionisti, non mi sono addormentato sulla tastiera, e men che meno ho un principio di Parkinson).
Torniamo però a oggi, all’ora del tè quasi scoccata qui nel mio faro Bell Rock, e al mio Scott #1 che non distoglie lo sguardo da me. Non può non venirmi in mente un parallelismo con il basket NBA di circa un ventennio fa, quando un signore di 196 cm del North Carolina, tale Michael Jordan, con le sue prodezze nella sua plurititolata squadra (i Chicago Bulls), oscurava altri giganti del basket mondiale, Scottie “Maurice” Pippen su tutti, il quale, pur essendo un giocatore eccezionale, non suscita ancor oggi grandi ricordi e gli onori che merita se non tra gli addetti ai lavori e ambienti della pallacanestro che lo hanno strameritatamente inserito fra i 50 giocatori più forti di tutti i tempi.

A te che sei la mia Cenerentola del mio personalissimo olimpo filatelico, caro Scott #1, dedico tutta l’attenzione e l’amore che meriti a dispetto del tuo più celebre vicino di banco, mia altra gioia da contemplazione per le serate nelle quali l’umanità si tinge di grigio e io non posso che ricorrere alla misantropia filatelica.
Essendo bastardo nell’animo, come dicevano spesso molti miei ex ed ex ex colleghi, non scriverò che soddisfazioni dia lo studio accurato di questi piccolissimi pezzettini di carta con le loro differenze più o meno sostanziali: il colore, l’eventuale dentellatura, la tipologia di stampa, o il tipo di carta utilizzata. Parliamo poi di griglie? E che dire dei multicolorati e variegati timbri utilizzati dagli Stati Uniti per molti anni durante il periodo che colleziono: 1845-1899. Splendidi e rari timbri blu o verdi con forme che richiamano moderni tatuaggi tribali, fiori, o scritte che indicano un utilizzo particolare, come ad esempio quelle missive spedite su quei fantastici e romantici battelli a vapore sul Mississippi che ci riportano alle avventure del Tom Sawyer di Mark Twain.

Ecco, non scriverò niente di tutto questo perché forse correrei il rischio che qualcuno si avvicini a questa branca del collezionismo e la cosa mi infastidirebbe parecchio. Il collezionismo è per pochi e sapere di essere uno psicotico raccoglitore di feticci più o meno giustificabili dà un senso sociale alle mie turbe più o meno celabili.
Quando ero chef di cucina guadagnavo molto e avevo certamente maggiori possibilità, ma non potevo dedicare il tempo che meritano ad alcune passioni, non ultima questa. Adesso, con pochi soldi, molte idee confuse e la irrequieta calma del mar della Scozia, posso leggere moltissimo, stabilire se i miei oltre 125 pezzi del 3 centesimi Washington del 1857 appartengano o meno a una delle oltre 59 tipologie differenti, e soprattutto permettermi di essere me stesso: Cenerentola fra i pochi guardiani dei fari sparsi qua e là per il globo.

Sono le diciassette appena scoccate, e io sto educando il mio palato e la mia mente alla ritualità tipica del tè, non fosse altro per ricambiare l’ospitalità degli Highlander.

Distolgo lo sguardo dal mio “Cenerentola Scott #1”, chiudendo con cura il mio raccoglitore tedesco rilegato color vinaccia da sessantaquattro facciate, appositamente acquistato per contenere quelli che io definisco con affetto “i francobolli del Far West”.

Spero che tutte le Cenerentola del mondo gioiscano nel sapere che per quanto siano o si sentano sfortunate, c’è sempre qualcuno che le apprezza anche se non gli viene detto, ed è il proprio status di “sfigate” che le rende in fondo così speciali. Apro l’oblò tondo di fronte al quadro comandi, mi gusto il tè ad occhi chiusi e mi faccio suggerire dal mare la prossima storia, consapevole e forte della mia speciale inadeguatezza.

13 gennaio 2013

Lettera numero undic-i: Il cielo...


…Il cielo…

 Circa dodici anni fa ebbi modo di poter lavorare nella splendida Svizzera tedesca in mezzo alle incredibili vette la cui bellezza è seconda solo alla rara potenza evocativa del proprio nome: il Matterhorn, che noi italiani conosciamo, dal versante meno pittoresco, con il nome di Cervino.

Il senso di questa introduzione non voleva spingermi a parlare della più bella montagna di 4478 metri esistente nell’universo, quanto il ricordo dei più bei tramonti visti nella mia vita.

Trovo che il tema del tramonto (così come dell’alba) sia talmente utilizzato in letteratura e in poesia che dovrebbe essere assurdo sconvolgersi ogni volta che se ne vede uno meraviglioso. Eppure…

A quel tempo gestivo un rifugio in montagna a 2478 metri e pensavo che solo due chilometri mi separavano da una delle più belle sculture che uno dei valenti artigiani geologici avessero mai sapientemente modellato. Coordinavo, se così si può scrivere, una squadra multirazziale degna di essere paragonata a quella cinematografica di Brancaleone, tra difficoltà emotive e professionali che a distanza di oltre dieci anni sarebbero state raccontate da un faro scozzese.

La mia adrenalina, la mia (oramai sopita) motivazione, e il senso del dovere in stile Wermacht che mi contraddistinguevano mi portavano ad avere un’energia infinita; ma il mio nervosismo, che non riuscivo minimamente a celare, la faceva da padrone, mostrando tutta la mia debolezza, nonostante il timore e rispetto che incutevo negli altri.

Trovai subito una valvola di sfogo per recuperare salute e credibilità: in barba alle severe leggi elvetiche in materia di raccolta dei cristalli, decisi di strappare schegge di paradiso direttamente da una delle sculture conosciute ai più come montagne, mettendomi a raccogliere cristalli o, più semplicemente, quarzi. Il tutto dopo 12 ore filate di lavoro naturalmente.

Per tutti i colleghi ero un folle; per il mio capo, “l’uomo dei sassi”; per i turisti di passaggio, una bizzarra curiosità; e per la polizia, un piccolo criminale.

I miei mezzi a disposizione erano una mazzetta trovata durante i lavori di ristrutturazione ed una punta da muratore del quale francamente non conosco il nome tecnico ma che sicuramente è molto dura.

Subito dopo avere chiuso casse e registrato i conti, senza nemmeno farmi una doccia, partivo con due vecchi secchi, robusti e sporchi come pochi. M’incamminavo e cominciava la camminata/scalata in pericolosissimo regime di semi-oscurità. Arrivavo intorno ai tremila metri di altitudine e questo già mi avvicinava a Dio. Una volta trovata la zona, illuminavo e cominciavo a picchiare come un minatore, alla ricerca non tanto di quel po’ di quarzi o cristalli quanto piuttosto di un’indefinibile panacea per il mio malessere interiore. Cercavo la pace con gli altri ma non ero in pace nemmeno con me stesso, e a distanza di oltre due lustri posso confermare che ogni uomo o donna ha bisogno di invisibili vibrazioni che gli possano creare un piccolo manto protettivo ((un permafrost?) di felicità o apparente calma.

Oggi per me queste piccole emozioni si chiamano libri, musica o francobolli, ma conosco persone che sfogliano in maniera quasi compulsiva libri fotografici d’arte con le lacrime agli occhi e il magone in gola. Personalmente li adoro anche se purtroppo non ne capisco il linguaggio.

Elemento curioso e imprescindibile per testimoniare le mie continue e progressive metamorfosi sono stati i cieli che mi circondavano. Credo che nessuno dei miei cambiamenti più o meno importanti sia avvenuto senza sfruttare lo sfondo incantevole di un cielo assortito; sia esso plumbeo e glaciale, oppure strepitoso in stile locandina di Wild at Heart del visionario regista David Lynch (certamente più noto per aver firmato Twin Peaks).

Eppure, come ogni buona ricetta che sta per trasformarsi in emozione e sensazione a un tavolo di commensali pieni di aspettative, la mia pentola emotiva comincia a bollire in anticipo, impedendomi di dormire. Quando succede è arrivato il momento di vestirsi, lavarsi la faccia, e attendere l’alba o il tramonto da qualche parte nel mondo. L’ho fatto al mare, in montagna, a 31 gradi sottozero, davanti alla grande moschea bianca di Abu Dhabi, in mezzo alla più inquinata città, nelle terre brulle che segnalano l’inizio del deserto, da un grattacielo di oltre 140 piani, o più semplicemente dalla finestra di una delle mie tante case affittate in funzione dell’ennesimo contratto di lavoro.

Dedico questa mia missiva al cielo, vera colonna cromatica che accompagna tutti allo stesso modo verso quel collo di bottiglia che è in fondo il destino. Già lo fece duecento anni or sono, accomunando per esempio schiavi e negrieri, o anche vincitori o vinti di una necessaria/inutile guerra come preludio, forse, a un punto d’arrivo comune, che priva totalmente dei significati terreni le nostre esistenze dal valore sempre soggettivo.

Caro cielo,

non ti stupire delle nostre reazioni al tuo passaggio. Siamo piccoli piccoli al tuo cospetto. Non so e non credo tu possa provare emozioni intese in chiave umana, ma fingere di crederlo rende possibile scriverti umanizzando meccanismi che grazie a meccaniche celesti, di umano non hanno nulla. Come ci si sente ad aver accompagnato la storia del mondo? Chissà quante situazioni, biodiversità, coincidenze o cambiamenti hai determinato solo per il fatto di vestirti in abito grigio, oppure con quella tutina blu cobalto che tanto ti dona, o quel completo rosso che ti rende semplicemente irresistibile.

Anche se le mie parole insignificanti non modificheranno minimamente lo scorrere della tua esistenza, e le stelle che ti completano continueranno i loro cicli cosmici come hanno sempre fatto tra una profezia e l’altra, volevo ringraziarti.

Su di te sono state spese miliardi di parole, prima e meglio di quanto abbia fatto io, così miseramente utilizzando un’asettica tastiera di PC; tuttavia mi sento di averne diritto e sono qui a ribadire il mio stupore e il mio rispetto incondizionato per la tua maestosità.

Spero di rivederti presto mentre utilizzi quelle  rarissime sfumature violacee che mi avvicinano all’assoluto incanto della natura; e io sarò li, a scrivere con te.

Buon proseguimento.