Nelle ultime settimane ho a disposizione una
piccola barchetta con cui potermi avvicinare al molo 2 e sentirmi diversamente
prigioniero. Approfittando di questa possibilità, ho deciso di dedicare un’ora
della mia vita a correre, per scaricare quella strana sensazione che provi
quando hai un peso sullo stomaco ma non riesci a identificarlo.
Dicevo della signora Albina, l’anziana fiorentina.
Per circa dieci lunghi e insieme fulminei anni mi sono ricordato di quella
massima, tentando di darle una connotazione logica o una specie di senso; ma
soltanto oggi, alle ore 7:11 del mattino, esausto per la strada percorsa a
grandi falcate, credo di averla finalmente capita. O perlomeno le ho attribuito
un significato.
Una volta vidi un programma nel quale uno
scrittore di grande fama indicava l’esistenza di un vademecum su come scrivere bene, e dopo averlo cercato
per curiosità iniziai a leggerlo. Le due cose che più mi rimasero impresse
erano anche le più scontate, se si vuole. La prima diceva che per scrivere bene
bisogna leggere parecchio, e la seconda che quando si decide di sporcare un
pezzo di carta con qualche idea o sensazione, bisogna farlo senza pensare di
doverlo per forza fare bene. Alla fine del piccolo manuale delle giovani
marmotte scrittrici, era indicato un sito internet cui inviare eventualmente
domande e richieste di consigli sullo scrivere. Ebbene, chiunque avesse letto
il manuale e poi scritto qualche domandina al sito indicato, avrebbe
automaticamente messo in pratica quanto detto dal famoso scrittore. Semplice,
no?
Le falcate improvvisamente tendono ad avere una cadenza
minore, eppure divengono più pesanti e impietose nei confronti del mio povero,
sollecitato corpo.
La mente ritorna in automatico alle interminabili
giornate di cucina quando con l’intero staff eravamo intenti a sperimentare
impiattamenti (1) e sapori a dir poco bizzarri. In quei casi , per quanto ci venissero
in soccorso le rispettive doti culinarie e il proprio gusto, ci si rendeva conto
che le migliorie più incisive, determinanti e durature della cucina nascevano
per caso e mai attraverso una programmazione. Dovrei citare per dovere il
melograno mangiato per caso dopo una fine ricotta di capra, o il caffè bevuto
con birra artigianale al grano saraceno, ma non lo farò.
Credo che la chiave di tutto sia il fare le cose
per il piacere di farle e dunque mossi da quella splendida sensazione di
sentirsi gratificati anche dopo un turno di miniera a scavare con le unghie
sulla roccia. Passione? Mah. Forse.
Piove, Scozia ladra! Chi non corre probabilmente
non sa che con la pioggia battente corri con uno stimolo maggiore, ti sale
l’adrenalina ed emerge quella sensazione tipica dei fondisti: “the loneliness of the long distance runner” (3).
Sembrerà strano ma penso che chi possiede una dote
pensa automaticamente che tutte le persone la abbiano, ma così non è, e per di
più non si acquista al piccolo mercato del mercoledì o al grande del sabato.
Queste persone non sanno di essere speciali perché
danno per acquisito il fatto che tutti in fondo abbiano con le dovute
differenze, la stessa qualità che in realtà è tutt’altro che comune.
Mentre corro, sentendomi davvero stanco e con
l’acido lattico che appicca il fuoco alle mie gambe, sommo gli eventi della mia
strampalata esistenza e mi accorgo di interpretarne la metafora stessa. Corro
consapevole di voler fare quello che faccio ma senza avere una destinazione.
Difficile spiegarlo se non lo si prova. Nobili
sentimenti e comportamenti istintivi danno vita a un puzzle comportamentale e
sociale al quale talvolta preferirei non partecipare, e il solo fatto di
pensarlo modifica il quadro stesso delle cose, obbligandomi a correre.
La mia è una rivolta, una intifada
comportamentale. La mia ma anche la TUA, caro signore che mi guardi passare con
malocchio mentre leggi il “Dundee Mirror” dalla vetrata del salotto di casa. E
anche la VOSTRA, di tutti coloro che sono alla ricerca di quell’elemento
stabilizzante. Credevo di averlo trovato con la fede, ma quello è probabilmente
solo il faro del guardiano del faro. Al di là del raggio d’azione di quella
luce proiettata in un mare impietoso, non trovo luce in alcuni meandri di me
stesso.
Albina era del 1921, una persona semplice e
passionale; concreta e lapidaria nel dare giudizi. Ma la sua non era malignità,
bensì consapevolezza del proprio ruolo sociale di oracolo di una piccola via
dello splendido centro storico fiorentino.
Mi ricordo un giorno di primavera (era aprile) segnato
da un insolito caldo umido e perfino fastidioso, mentre aspettavo la mia
compagna in uscita dall’azienda di surgelati del suo paparino presso cui io
sovente prestavo volontariato 24/7. Dovevamo uscire per un aperitivo, una
tornata di shopping, e una cena che avrebbe coronato quello che credo fosse il
nostro terzo anno insieme. Sudavo e pensavo alla scena iniziale di Apocalypse Now, mentre sentendomi
toccare alle spalle vidi stagliarsi Albina con in mano un oggetto fasciato con
l’alluminio alimentare. Mi disse pressappoco: “Oh grullo, aspetti la Nina senza niente in mano? Prendi questo e digli
che l’ha fatta l’Albina per lei e che me l’hai chiesto te”.
Rimasi inebetito e ringraziai la signora quando
era già a una ragguardevole distanza, a prova di udito bionico. Aprii
l’involucro e vi trovai una specie di pane simile al buonissimo “casatiello”
(2) napoletano che si fa proprio per il periodo pasquale. Era una sorta di
torta pane dolce, o casatiello dolce, che poi ho scoperto la famiglia di Albina
preparava da generazioni e generazioni. Eccezionale da accompagnare al vin
santo sostituendo gli oramai cari ed eccellenti cantucci proprio a Pasqua. Che
dire? Grazie.
Ci sono persone magiche nel mondo e noi “normali”
alla ricerca del senso della vita poche volte ce ne rendiamo conto. Albina era
magica e aveva capito che quel piccolo gesto avrebbe riempito il cuore di gioia
a qualcuno (Nina) più di qualsiasi shopping o cena nel fottutissimo ristorante
stellato. Io neanche ci avrei pensato in quel periodo a creare una delle più
belle giornate della mia vita facendo felice la persona per me più importante ,
perché sono fondamentalmente uno stronzo egoista, ed è per questo che spesso
corro forte e solitario senza sapere dove sto veramente andando.
A questo punto della storia la domanda che mi
rimane è: riuscirò mai a ritornare al molo 2 di corsa?