Prima di addormentarsi, chiunque chiude i propri
occhi, il cuore rallenta ma la nostra anima spesso non riesce a inviare lo
stesso comando alla mente.
A partire dal momento in cui solleviamo il dorso
dal letto succederanno almeno CINQUECENTO cose più o meno piccole,
ingurgiteremo circa DUEMILA kilo-calorie, saremo disgustati da almeno TRE
servizi del tg, pronunceremo almeno UNA decina di parolacce di gravità
differente per motivi spesso futili, berremo forse CINQUE bevande eccitanti,
faremo o invieremo almeno QUINDICI fra telefonate o messaggi e TUTTO questo prima
di riappoggiare la schiena sullo stesso materasso. O forse nemmeno il proprio.Ad ascoltare alcune statistiche sui quotidiani o alcuni servizi televisivi dei telegiornali, questi snocciolati sono grossomodo i “numeri” di una persona media nei ventisette paesi più industrializzati. Deduco che l’essere al di sotto o al di sopra di queste cifre fa del soggetto un “non normale”. Questa fascia abbraccia probabilmente una larga schiera di persone che variano dai clochard ai depressi ai disoccupati ai tossicodipendenti o ad alcuni artisti.
Il punto è che non esiste un punto e la parola
normalità può essere vista ed interpretata in maniera assai differente. In
compenso mentre tentiamo di immagazzinare, gestire, accarezzare una infinità di
dati o statistiche siamo costretti a generalizzare su qualsiasi argomento e
tutto per semplificare. Sembrerebbe una cosa da nulla ma questa è una
devastazione per la nostra capacità di autocritica che ci induce a stravolgere
totalmente il significato delle cose. Con questo tipo di logica si arriva a
chiamare un SUV “Captiva”, e lo spot dovrebbe suggerire libertà di movimento.
Ma “captivus” non significava “prigioniero”? Beh, è una storia inutile.
Dopo una lunga manovalanza specializzata spesa in
decine di cucine di ogni dimensione e tipologia si arriva ad esasperare il
livello qualitativo del piatto dimenticando totalmente la cosa più importante:
il grado di soddisfazione dell’ospite. Ripeto: “ospite” e non cliente.
Un vecchio chef ubriacone, blasfemo, stronzo,
maschilista e razzista dal quale c’era solo da imparare m’insegnò una grande
lezione di vita. Mi chiamò a rapporto mentre annunciava la sua nona o decima
uscita dalla cucina per prendere un caffè al bar. Ero terrorizzato all’idea di
subire come punizione per una delle mie decine di stronzate quotidiane la
pulizia di una vasca di calamari gelo che mi procuravano (superati i 30 kg) una
forte irritazione alle dita delle mie povere mani.
Mi mise una mano sulla spalla e pensai a una tale
anomalia da raffigurarmelo persino gay. Mi disse di seguirlo nella sala proprio
dietro l’angolo dov’era posizionata la nostra macchina da caffè, una Cimbali 4
bracci dei primi anni Ottanta: un caffé ottimo. Credevo si mettesse a fare due
caffé rimproverandomi per qualcosa, e invece accadde l’impossibile. M’invitò
educatamente a guardare la sala mentre le decine di ospiti erano intenti a
pranzare, al tempo in cui le famiglie ancora potevano permettersi di uscire la
domenica per un pranzo fuori porta. Quindi mi apostrofò chiamandomi “Sergej”, il
nome del lavapiatti ucraino che ci supportava in cucina.
“Se
tu guardi ‘sti stronzi in faccia, ti accorgerai di com’è andato il tuo lavoro.
Le espressioni della faccia non ingannano mai, e due sono le cose che gli
uomini e le donne che vanno a mangiare fuori non ti perdonano: gli uomini
vogliono qualcuno che cucini come la loro mamma, e le donne odiano il freddo in
sala. Perciò, se questo accade, una volta tornati a casa non scopano e ti fanno
una pubblicità di merda”
Passarono alcuni secondi nei quali lo chef mi
fissava malamente e riprese
“Che cazzo ci fai qui? Va’ a pulire i calamari
con Andrew!”
Evitai di correggerlo sebbene avesse confuso i due
nomi, così come eviterò di scrivere il seguito del suo commento rivolto al
cielo, alle donne e al Milan, sua squadra del cuore. Ne fui turbato.Entrando in cucina gli altri tre colleghi/boccia mi guardavano come se avessi tradito qualcosa o qualcuno, e fu l’ennesima giornata nera di lavoro. Ero una recluta e così dovevo morire, nessun privilegio, testa bassa e mani rosse.
Adesso ritorno al faro e sono passati più di 18
anni da quei momenti assurdi. Statisticamente non sono un clochard, un
depresso, un disoccupato, un tossicodipendente o un artista, ma sono un
guardiano del faro. Se dovessi dirla tutta, il mio è un lavoro di
rappresentanza per onorare il faro moderno più antico del mondo. Se un operaio
di catena di montaggio sapesse che ogni giorno faccio nulla e guadagno poco
meno di loro s’incazzerebbe parecchio. Lo capirei, ma io sono in prigione e
come ogni carcerato che si rispetti faccio pesi, corro nel mio cortile chiamato
Arbroath durante l’ora d’aria, e immagino.
In più studio, colleziono francobolli e mi disfo
dei miei migliaia di doppioni vendendoli online. Anche questo è un modo per
costruire un ponte con il resto del mondo. Di guadagnare non me ne frega niente:
quello che mi dà piacere è ricevere il ringraziamento di persone sparse per il
globo. Considero queste cose come il mio modo di colorare la mia vita, e se ne
fossi in grado lo farei sul serio.
Certe volte infatti, vorrei essere proprio un artista, un
valente pittore, e omaggiare il mondo di opere da un faro, oppure opere con
fari. Penso ai tempi delle scuole medie quando la mia compagna di banco era una
dolcissima Daniela del quale non ricordo esattamente il cognome anche se sono
quasi sicuro iniziasse con la lettera “M”. Daniela disegnava e dipingeva come
una vera artista: Daniela ERA un’artista! Lo dico considerando il significato
più alto della parola. Anzi, Daniela lo è ancora adesso una pittrice: organizza
mostre ed è molto apprezzata a livello regionale.
Mentre io stupravo i fogli da disegno con la
delicatezza di un panzer classe “KING VI”,
Daniela li valorizzava. Prendeva delle matite colorate, dei pastelli o dei
pennelli e fotocopiava angoli di paradiso. La severa professoressa, credo quasi
sessantenne, passava tra i banchi e,
arrivata all’altezza del nostro, guardava estasiata Daniela che ammetteva
candidamente: “Non riesco a fare la
sfumatura tra l’arcobaleno e la cascata”.
Lo sguardo della navigata professoressa poi
sfiorava me, con disgusto e compassione inseriti fra una ruga e l’altra di quel
volto che mi ricordava un moai. Un giorno mi chiese: “Andrew, vai così male in tutte le materie?”
Mi ha fatto sentire a dir poco inadeguato e fuori
posto, ma sono certo che non lo ha fatto con cattiveria. Io ammiravo Daniela ma
non volevo dirle che avrei voluto disegnare bene anche solo la metà di quanto
lo faceva lei.
Adesso tuttavia, dopo 27 anni circa, ho voglia di rispondere
alla oramai vecchia Isabella…
Cara
Isabella C., adesso lei dovrebbe avere circa ottant’anni ed io sfioro la metà
di questo traguardo. Inutile dirle che le auguro sinceramente salute e gioia sino ai cento. Si
ricorda di me? Sono Andrew, il compagno di banco della mistica Daniela M.
quella che lei stessa definiva “la miglior allieva di sempre” nella sua già
ultra-trentennale carriera da professoressa. Insomma, ricordandosi di Daniela M. dovrebbe
pensare allo sfigato che le sedeva accanto e che “zappava” sui fogli da
disegno. Nell’anno del signore 2013 scrivo da un computer incastonato nell’improbabile
scrivania di un faro. Sono passati più di 24 anni da quando ero un suo pessimo
alunno.
Sono
stato comunque un bravo ragazzo (forse), ho seguito un percorso particolare che
mi ha portato a diventato il guardiano di un faro, ma solo dopo una carriera
ventennale da cuoco in giro per il mondo. Sui piatti so scrivere, decorare e
colorare, ma non ho mai imparato a disegnare su un foglio e ho conservato la
mia pessima grafia. Non essendo un “Artista”, le statistiche dicono di me che
sono solo una persona normale, ma a me va bene così. Sono sicuro che lei è una
bravissima persona ma nel dire alcune cose ad alcuni suoi studenti feriva nel
profondo. Io ero certamente tra queste persone ma non serbo alcun rancore, anzi
le scrivo che nonostante tutto le ho sempre voluto bene perché era una docente
molto preparata che aveva passione e la sapeva cogliere e apprezzare nei suoi
studenti migliori. L’arte migliora il mondo e lo rende più bello, purtroppo non
ho la giusta cultura e sensibilità per poterla capire. Ecco, tutto qui. Se
avessi il suo indirizzo le manderei una cartolina di Arbroath con un bel
francobollo di un faro.
Le
auguro il meglio Isabella C.
Andrew