Succede ogni giorno che milioni di persone prendano
un metrò affollatissimo di una megalopoli americana o asiatica per andare a
lavoro. Scommetto che il vostro immaginario non riesce a non pensare a quello
di New York o a quello crea-ansietà di Tokyo con i suoi “spingitori”. Ma non è
questo il punto. Ricordate quelle bocce di vetro di quei vecchi giochi per
bimbi dove quando inserivi una moneta e giravi una scomodissima leva in senso
orario di 180 gradi, vincevi una bellissima biglia colorata? Immaginate che
quella macchinetta si spacchi all’improvviso per far cadere in maniera
assolutamente violenta e fragorosa tutte le biglie colorate per terra: questo è
quello a cui penso quando immagino questi metrò al mattino presto.
Mentre le biglie rimbalzano sgradevolmente nella
mia mente, non posso non pensare agli improbabili incroci di pensieri che
queste persone-biglia macinano continuamente, probabilmente fissando il vuoto
di un vagone pieno o qualche ridicolo dettaglio di un ombrello curiosamente
portato da un’altra persona-biglia in una radiosa mattinata. Le porte si aprono
rivelando la temperatura d stagione, altrimenti incellofanata da quei logori
finestrini inquinati.
Essendo ancora inizio febbraio, le circa 100
milioni di corse dei metrò effettuate in Giappone non avranno statisticamente
effettuato ancora un solo ritardo: a guardare i numeri la cosa dovrebbe
accadere nell’arco di 15 giorni; ma non è nemmeno questo il punto. Come ogni
anno tutte le società nipponiche che si
occupano della mobilità metropolitana invieranno una mail o una lettera di
scuse per i ritardi ai milioni di abbonati sparsi in ogni dove nello splendido paese del Sol Levante: un altro
pianeta, ragazzi. Non è ancora il punto.
Luke, un ottimo chef americano di 36 anni svezzato
in cucine top di Paesi anglofoni a colpi di cucine high-profile e molecolari,
sta dirigendo un ristorante very busy della Parigi che conta, dove l’alta
cucina fusion incontra il servizio rapido e indolore dei business men il cui
unico scopo è quello di nutrire inconsapevolmente bene un corpo oramai svuotato
di molto. La sua preoccupazione più grande è quella legata alla conversione dei
gradi centigradi e delle misure di quantità per rendere le sue ricette il più
possibile come lui le conosce dopo lunghi e faticosi collaudi. Ha il mestiere
in mano e non teme,
ma il punto non è nemmeno questo.
Il punto non è che sono stato un po’ Luke, un po’
tutto e un po’ niente.
Adesso sono qui, su questa panca in legno sul
lungomare di Arbroath, ad occhi chiusi per un riverbero solare davvero crudele,
e per di più a spalle strette per via di questa pungente aria tremendamente
nordica a cui nemmeno gli scozzesi porgono l’altra guancia.
Io sono ancora qua e penso di rimanervi, seppur
anche nel mese di febbraio tradirò il faro alla volta dell’isola di smeraldo:
l’Irlanda.
Non piangere, piccola casetta luminosa in mezzo al
mare; vado via ma ritornerò da te tra circa un mese. Devo assentarmi, lo faccio
per aiutare degli amici che hanno chiesto il mio aiuto professionale.
Il mio sentimento per te, faro, non cambierà di una
virgola; anzi, è probabile che fortifichi. Scrivo di te al mondo stando qui e
scriverò del mondo a te standoti lontano: insomma creeremo quella magia e tu la
chiamerai come vorrai.
La passione mi costringe a muovermi così,
null’altro.
Per adesso è più di un’amicizia, Bell Rock, ma non
so se sia amore. Meglio non teorizzare e comportarsi come adulti: in fondo hai
più di duecento anni, e quando anche io mi dovrò arrendere di fronte all’ultimo
ostacolo, tu continuerai la tua corsa ancora per molto.
Quando tuo papà Stephenson ti costruì, era mosso da
grande amore e passione per il suo lavoro. Se tutto quello che ha costruito
l’uomo fosse stato fatto per durare splendidamente 74.095 giorni contro vento,
freddo, acqua, caldo e salino come te; dovremmo cancellare la parola
“manutentore” dai dizionari di tutto il mondo.
Ma adesso destinazione Kilkenny, provincia
irlandese del Leinster. Mi ospiterà poco e io sarò degno di essere ospitato da
questo bel borgo medioevale del quale non vedo l’ora di visitare il castello.
La capitaneria di Arbroath ha apprezzato questa
volta la mia sincerità concedendomi il periodo come congedo temporaneo.
Ti spedirò una lettera dalla terra di San Patrizio,
caro il mio Bell Rock Lighthouse, promesso. Solita affrancatura filatelica.
Come ho fatto già sette mesi fa, penserò con
nostalgia alla Scozia e al mio faro con la stessa malinconia di chi ha composto
“Ma se ghe pensu” , una splendida canzone popolare genovese che pochi conoscono
e che tutti, italiani e non solo, dovrebbero avere nel cuore anche se compiono
scelte differenti da quelle del suo protagonista. Per non dire opposte: come
me.
Il punto adesso è fare i bagagli. Il punto adesso è
raccogliere quello che rimane di positivo in me e spingersi oltre come una
delle tante biglie colorate per il mondo.