02 gennaio 2021

ancora lettera 25: dal faro Bell Rock alla Torre di Burana

 Un'enorme centrifuga accesa nel novembre del duemilaquattordici, ha sapientemente mescolato avversità, improbabili situazioni e fallimenti, catapultandomi a circa 6. 900. 000 metri verso est.

Mi trovo infatti nell'aeroporto internazionale di Biškek e sorseggio un'acqua naturale acquistata a Chișinău in Moldavia dove ho fatto scalo dieci ore or sono.

I pochi che hanno potuto osservare la mia sinusoide esistenziale, per quanto abbiano certamente di meglio da fare, si potrebbero domandare come sia possibile che un (ex) guardiano del faro possa trovarsi incastrato tra le montagne Kirghise e ricordi che, seppur di pochi anni fa, sono enormemente distanti.

Non ho la presunzione e nemmeno la voglia o la velleità di farlo ma lascio che i ricordi stessi affiorino, e con essi il significato delle scelte obbligate che mi hanno portato fin qui.

Posso solo dire che questa nostra estenuante ricerca di risposte interiori ESATTE, osteggiate da una cronica mancanza di tempo di quelle strane abitudini che chiamiamo vita potrebbe essere appagata dalla rinuncia almeno parziale di noi stessi e dalla meditazione nel suo stato più profondo alla quale quasi nessun occidentale è minimamente abituato.
Per evitarvi un cambiamento radicale delle proprie allegoriche abitudini esistenziali, suggerisco di cercare le risposte nella canzone del compianto Lucio Dalla "Com'è profondo il mare": lì troverete una verità e sarà una rivoluzione bignamica.

Muovendosi per metafore immaginate di aver appena costruito un castello di sabbia su una battigia sabbiosa in una giornata nella quale il mare è uno specchio immobile.
L'onda anomala che si sta per abbattere su voi e sulla vostra auto celebrativa costruzione in tre, due, uno, zero secondi si chiama CANCRO e il suo scopo è quello di cambiare i programmi a voi stessi e a chi, volente o nolente, si è trovata a condividere parte del proprio cammino incastrandosi nelle maglie del vostro tempo in maniera più o meno volontaria o consapevole.
Nemmeno il tempo di riavvicinarsi al castello di sabbia per stabilire l'entità del danno e riceverete un'altra ondata anomala in grado di cambiare perfino il cambio programma.

L'essere umano è tremendamente scontato e banale nella sua apparente diversità e il suo istinto è quello di dare le spalle a quel che resta del castello per capire se quel mare traditore abbia in programma un'altra onda o chissà quale diavoleria, ignorando di fatto che la vita è la scienza della scelta o più semplicemente, una partita a scacchi con noi stessi, le cui regole cambiano ad ogni istante rendendoci tutti così microscopicamente granelli di sabbia.

Quando ho capito che non si può controllare il mare che per sua natura è inspiegabilmente democratico (così come lo è la malattia), non ho più pensato a cosa era rimasto della mia costruzione ma ho immaginato dove poter continuare il mio cammino, cosa ben diversa.
Finii le terapie nel 2018 e la mia vita cambiò nuovamente grazie a due pesanti borse della spesa confermandomi che sono cose davvero insignificanti che distruggono anche i castelli più robusti e apparentemente incrollabili.
Due piani delle scale a piedi con queste borse e un fiatone degno di un'ottantenne cardiopatico sovrappeso e quarantacinque anni bagnati da compiere.

Da quel giorno decisi di mettere le scarpette da corsa ai piedi perché non importava quanta strada avrei avuto da fare ancora ma la capacità di poterla fare gustandone la fatica: a morsi.
Tutto questo viaggio comincia e finisce nella nostra mente ma è imprescindibile il cuore e la voglia di vivere il presente senza voltarsi a guardare il castello che non esiste più.
Siamo il nostro cammino e io ho scelto di compierlo cucinando, collezionando francobolli e correndo.
Mi perdonerete se qualche volta vorrò scriverne i più o meno buffi risvolti, quantomeno per elaborarne gli umori.
Sguardo fisso sul cartellone degli arrivi dell'aeroporto internazionale di Biŝkek in realtà i miei occhi sono volti ai duecentomila chilometri quadri del territorio Kirghiso ricoperto da splendide montagne, ventose vallate appena accarezzate da un turismo non invadente e poco consapevole, fiumi cristallini e laghi che ricordano l'infinito.
Tre valigie al seguito (divise da chef, attrezzatura per corsa e skyrunning, resto della mia vita cui seguiranno per posta i cataloghi filatelici e la mia collezione di francobolli) e la sensazione di chi ha conquistato qualcosa che non ha ancora capito o vissuto.

Parte una nuova colonna sonora della mia vita, parte una modesta epopea del West che consumerò al ritmo di almeno quattro o cinque paia di scarpe all'anno e se scoppierà il mio cuore a quota cinquemila su un crinale roccioso del Picco Samani o di sua maestà Pik Pobedy, avrò terminato il mio castello con un sorriso che vedranno forse solo i meravigliosi rapaci di queste splendide montagne.
È tempo di correre.