13 gennaio 2013

Lettera numero undic-i: Il cielo...


…Il cielo…

 Circa dodici anni fa ebbi modo di poter lavorare nella splendida Svizzera tedesca in mezzo alle incredibili vette la cui bellezza è seconda solo alla rara potenza evocativa del proprio nome: il Matterhorn, che noi italiani conosciamo, dal versante meno pittoresco, con il nome di Cervino.

Il senso di questa introduzione non voleva spingermi a parlare della più bella montagna di 4478 metri esistente nell’universo, quanto il ricordo dei più bei tramonti visti nella mia vita.

Trovo che il tema del tramonto (così come dell’alba) sia talmente utilizzato in letteratura e in poesia che dovrebbe essere assurdo sconvolgersi ogni volta che se ne vede uno meraviglioso. Eppure…

A quel tempo gestivo un rifugio in montagna a 2478 metri e pensavo che solo due chilometri mi separavano da una delle più belle sculture che uno dei valenti artigiani geologici avessero mai sapientemente modellato. Coordinavo, se così si può scrivere, una squadra multirazziale degna di essere paragonata a quella cinematografica di Brancaleone, tra difficoltà emotive e professionali che a distanza di oltre dieci anni sarebbero state raccontate da un faro scozzese.

La mia adrenalina, la mia (oramai sopita) motivazione, e il senso del dovere in stile Wermacht che mi contraddistinguevano mi portavano ad avere un’energia infinita; ma il mio nervosismo, che non riuscivo minimamente a celare, la faceva da padrone, mostrando tutta la mia debolezza, nonostante il timore e rispetto che incutevo negli altri.

Trovai subito una valvola di sfogo per recuperare salute e credibilità: in barba alle severe leggi elvetiche in materia di raccolta dei cristalli, decisi di strappare schegge di paradiso direttamente da una delle sculture conosciute ai più come montagne, mettendomi a raccogliere cristalli o, più semplicemente, quarzi. Il tutto dopo 12 ore filate di lavoro naturalmente.

Per tutti i colleghi ero un folle; per il mio capo, “l’uomo dei sassi”; per i turisti di passaggio, una bizzarra curiosità; e per la polizia, un piccolo criminale.

I miei mezzi a disposizione erano una mazzetta trovata durante i lavori di ristrutturazione ed una punta da muratore del quale francamente non conosco il nome tecnico ma che sicuramente è molto dura.

Subito dopo avere chiuso casse e registrato i conti, senza nemmeno farmi una doccia, partivo con due vecchi secchi, robusti e sporchi come pochi. M’incamminavo e cominciava la camminata/scalata in pericolosissimo regime di semi-oscurità. Arrivavo intorno ai tremila metri di altitudine e questo già mi avvicinava a Dio. Una volta trovata la zona, illuminavo e cominciavo a picchiare come un minatore, alla ricerca non tanto di quel po’ di quarzi o cristalli quanto piuttosto di un’indefinibile panacea per il mio malessere interiore. Cercavo la pace con gli altri ma non ero in pace nemmeno con me stesso, e a distanza di oltre due lustri posso confermare che ogni uomo o donna ha bisogno di invisibili vibrazioni che gli possano creare un piccolo manto protettivo ((un permafrost?) di felicità o apparente calma.

Oggi per me queste piccole emozioni si chiamano libri, musica o francobolli, ma conosco persone che sfogliano in maniera quasi compulsiva libri fotografici d’arte con le lacrime agli occhi e il magone in gola. Personalmente li adoro anche se purtroppo non ne capisco il linguaggio.

Elemento curioso e imprescindibile per testimoniare le mie continue e progressive metamorfosi sono stati i cieli che mi circondavano. Credo che nessuno dei miei cambiamenti più o meno importanti sia avvenuto senza sfruttare lo sfondo incantevole di un cielo assortito; sia esso plumbeo e glaciale, oppure strepitoso in stile locandina di Wild at Heart del visionario regista David Lynch (certamente più noto per aver firmato Twin Peaks).

Eppure, come ogni buona ricetta che sta per trasformarsi in emozione e sensazione a un tavolo di commensali pieni di aspettative, la mia pentola emotiva comincia a bollire in anticipo, impedendomi di dormire. Quando succede è arrivato il momento di vestirsi, lavarsi la faccia, e attendere l’alba o il tramonto da qualche parte nel mondo. L’ho fatto al mare, in montagna, a 31 gradi sottozero, davanti alla grande moschea bianca di Abu Dhabi, in mezzo alla più inquinata città, nelle terre brulle che segnalano l’inizio del deserto, da un grattacielo di oltre 140 piani, o più semplicemente dalla finestra di una delle mie tante case affittate in funzione dell’ennesimo contratto di lavoro.

Dedico questa mia missiva al cielo, vera colonna cromatica che accompagna tutti allo stesso modo verso quel collo di bottiglia che è in fondo il destino. Già lo fece duecento anni or sono, accomunando per esempio schiavi e negrieri, o anche vincitori o vinti di una necessaria/inutile guerra come preludio, forse, a un punto d’arrivo comune, che priva totalmente dei significati terreni le nostre esistenze dal valore sempre soggettivo.

Caro cielo,

non ti stupire delle nostre reazioni al tuo passaggio. Siamo piccoli piccoli al tuo cospetto. Non so e non credo tu possa provare emozioni intese in chiave umana, ma fingere di crederlo rende possibile scriverti umanizzando meccanismi che grazie a meccaniche celesti, di umano non hanno nulla. Come ci si sente ad aver accompagnato la storia del mondo? Chissà quante situazioni, biodiversità, coincidenze o cambiamenti hai determinato solo per il fatto di vestirti in abito grigio, oppure con quella tutina blu cobalto che tanto ti dona, o quel completo rosso che ti rende semplicemente irresistibile.

Anche se le mie parole insignificanti non modificheranno minimamente lo scorrere della tua esistenza, e le stelle che ti completano continueranno i loro cicli cosmici come hanno sempre fatto tra una profezia e l’altra, volevo ringraziarti.

Su di te sono state spese miliardi di parole, prima e meglio di quanto abbia fatto io, così miseramente utilizzando un’asettica tastiera di PC; tuttavia mi sento di averne diritto e sono qui a ribadire il mio stupore e il mio rispetto incondizionato per la tua maestosità.

Spero di rivederti presto mentre utilizzi quelle  rarissime sfumature violacee che mi avvicinano all’assoluto incanto della natura; e io sarò li, a scrivere con te.

Buon proseguimento.


  

 

 

4 commenti:

  1. Il cielo, dove sono io è soprattutto stelle.
    Certo che con l'inquinamento e le luminarie, rischiamo di coprirlo.

    Meno male che lui è sempre là, per chi sa dove guardare!

    Un saluto da un tuo nuovo lettore!

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  2. Grazie Joker per la tua attenzione. Un saluto dal faro

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  3. :-) Bello come sempre, vorrei scriverti di più a rigurado del cielo, ma oggi non sono nell'uomre di fare uscire parole.
    Condivido il tuo sentimento per il cielo.
    A presto

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  4. Solo il tuo intervento è un pezzettino di cielo. Al prossimo tramonto come Dio comanda scrivimi qualcosa ;)

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