08 marzo 2013

Lettera numero 15: Gocce di luce


Lettera numero 15: Gocce di luce

 Nottata da battaglia navale stasera visto che non so giocare a sudoku. Qualche sera fa ho conosciuto una simpatica scozzese di nome Jenny ed è il mio primo approccio a un essere sostanzialmente di sesso opposto dei miei ultimi sei mesi. Mi correggo: è il suo primo approccio a un alieno sostanzialmente uomo.
Mi ha anche teneramente detto che, pur essendo brutto, la eccitava il fatto che io fossi italiano. La cosa è finita teneramente con un nulla di fatto ma in compenso Jenny mi ha ampiamente dimostrato che la sua tenuta alcolica è ben superiore alla mia. La tentazione di mostrarle la mia collezione di francobolli mi è venuta, ma francamente non mi sento pronto. Non voglio coinvolgermi nemmeno sessualmente, mi sento turbato e fragile da quando sono partito dal suolo italico per le Highlands.
Da quel fatidico ottobre 2012 moltissime cose sono cambiate radicalmente nella mia vita, non ultimo il modo di relazionarmi alle donne. Il mio  faro potrebbe forse essere un monastero marino, perché no.
Dopo una mareggiata emotiva, la spiaggia dove sono solito installare le mie emozioni è strana: profuma di resurrezione. Adesso la fenice che è in me si scrolla la cenere e spiega le ali in attesa di spiccare un volo fantasmagorico, audaci planate e appostamenti degni di un re che scorge l’orizzonte, forte delle sue tenute probabilmente volute da un gioco del destino più che da una divinità.

Amministro la mia solitudine concedendomi ampi spazi di lettura, esposto al vento dei gradini esterni del Bell Rock; e non è lontano il ricordo della rilettura di un libro di un famoso economista indiano, Amartya Sen, considerato da una certa fascia di studenti universitari sinistroidi il non plus ultra in fatto di interpretazione ed elaborazione delle teorie economiche. Per i quotidiani che hanno l’arte di semplificare e, ahimè, sovente fuorviare le persone con titoli ingannevoli, Amartya Sen è “l’economista dal volto umano”. Io non ne ho una definizione perché sono un perfetto ignorante, ma queste etichette mi fanno sentire limitato.
La scelta di combattere le disuguaglianze economiche globali attraverso lo studio dei fenomeni legati a questa scienza, nasce nel piccolo Amartya, bimbo festante sul prato di casa sua, dalla visione terribile di un assassinio per motivi religiosi proprio sul cancello di casa nella regione del Bengala. Questo è quello che lui racconta con tono sommesso ma assolutamente viscerale, deciso e scientifico. Il suo linguaggio è dolce anche quando parla di stagflazione.

La vita delle persone prende pieghe inaspettate per fatti magari non così traumatici ma altrettanto incisivi. Un’accetta colpisce un albero senza magari che il robusto vegetale se ne accorga, tuttavia nella sua solida corteccia resterà inciso per sempre un segno. Le cellule probabilmente si immoleranno per ricordare che qualcosa ha colpito il bersaglio. Un monito? Un autografo del destino? Più semplicemente, il gesto poco rispettoso di uno stolto che passava in quel bosco.
Quando il vento si placa e il reverbero del sole nell’acqua fa scintillare il gigante che mi circonda, riesco a non pensare a nulla per almeno un minuto e mi godo ad occhi chiusi questo caldo inaspettato, talmente umido da farmi gocciolare la fronte e le palpebre chiuse lentamente. Questa terapia solare la chiamo gocce di luce, e mi farebbe piacere ospitare nel faro un poeta perché possa utilizzare per descrivere questa sensazione parole che non ho, perso come sono, nella mie inutili e solitarie elucubrazioni.
La vita ti fa scegliere in continuazione e adesso scelgo di rientrare in casa perché inizio a sentire freddo. Mi chiudo e quasi istintivamente mi dirigo verso il cucinino, intento a prepararmi una merendina.

Amartya Sen sostiene che«l’economia è la scienza della scelta». Io sostengo, senza un Nobel per l’Economia in tasca, che vivo alcune scelte in maniera traumatica e questo è un male. Proprio ieri, o forse ieri l’altro, ho avuto una sorte di visione durante le gocce di luce. Mi è apparsa una splendida fata bianca molto in stile “Lord of the Rings”, che avvicinandosi a me ha intriso un piccolo fardello di seta bianca sulla mia fronte asciugandone l’intera superficie. Poi mi ha parlato con fare fiabesco e strizzato perfettamente le gocce di luce in un piccolo boccettino di vetro il cui effetto al sole creava i colori dell’arcobaleno: «Queste saranno la tua luce nei momenti più bui».
Adesso, può anche darsi che abbia smaltito l’ultimo frammento di ubriacatura della bevuta con Jenny, ma credere in questa assurdità rende la mia giornata decisamente migliore. Il faro mi sta mettendo davanti ad alcune decisioni; il faro stesso è motivo di scelta. Il mio faro è magico, mi basta  nominarlo e subito mi arriva un sms di Jenny: “What are you doing?”

Le mie due teste mi danno impulsi diversi. Una stimolazione puramente fallica e l’altra filosofica o meditativa. Mando un messaggio al marito di Rachel che sta giocando a bersi la paga al pub del porto per dirgli se è disponibile a fare da taxi per un… collega?

Non risponde, è certamente ubriaco, sono costretto a chiamarlo. Peter ubriaco saluta felicissimo, ma mi prende per sua moglie. Alla sua volgarissima avance sessuale telefonica rispondo mestamente con l’invito a tranquillizzarsi, perché, al di la della simpatia reciproca, tra me e lui non può esserci nulla che vada oltre l’amicizia.

Scoppia in una fragorosa risata e poi acconsente alla mia richiesta raccomandandomi di non aver pietà. Bene: una testa ha prevalso sull’altra. Chiamo Jenny e la invito a farsi trovare al moletto 2 entro venti minuti con molta birra possibilmente non già in corpo.
Lo scotch lo metto io: Bowmore Casket Strenght vintage 1989. Un whisky full proof che emana torba, legno, salmastro e fiori a 53 gradi. Lei in realtà non apprezza e magari ripiegherà sulla vodka alla frutta che uso normalmente per fare dolci speziati tipo le albicocche al pepe di Szichuan o altre vaccate simili.

Jenny emozionatissima per il faro e non certo per me approfitta di alcuni giorni di riposo dall’ufficio notarile presso cui lavora da oramai sette anni. Il primo di questi giorni lo dedica a me e credo voglia dare tutta se stessa per farmelo capire.
Le ho promesso che se l’indomani pomeriggio il tempo sarà clemente, le regalerò delle gocce di luce e lei è curiosissima e mi riempie di domande.

Non riesco più a scrivere né a pensare. Faccio una doccia rapidissima, preparo uno stuzzichino veloce da servire all’aperitivo, e tolgo la maschera da guardiano del faro almeno per stanotte. Il cielo stellato mi segnala che nulla andrà storto nemmeno domani e a me non resta che dare l’ultimo segnale in capitaneria.

Il mio faro non diventerà un monastero marino, perlomeno non questa notte.

 

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