Lettera
numero 15: Gocce di luce
Da quel fatidico ottobre 2012 moltissime cose sono cambiate radicalmente nella mia vita, non ultimo il modo di relazionarmi alle donne. Il mio faro potrebbe forse essere un monastero marino, perché no.
Dopo una mareggiata emotiva, la spiaggia dove sono solito installare le mie emozioni è strana: profuma di resurrezione. Adesso la fenice che è in me si scrolla la cenere e spiega le ali in attesa di spiccare un volo fantasmagorico, audaci planate e appostamenti degni di un re che scorge l’orizzonte, forte delle sue tenute probabilmente volute da un gioco del destino più che da una divinità.
Amministro la mia solitudine concedendomi ampi
spazi di lettura, esposto al vento dei gradini esterni del Bell Rock; e non è
lontano il ricordo della rilettura di un libro di un famoso economista indiano,
Amartya Sen, considerato da una certa fascia di studenti universitari
sinistroidi il non plus ultra in fatto di interpretazione ed elaborazione delle
teorie economiche. Per i quotidiani che hanno l’arte di semplificare e, ahimè,
sovente fuorviare le persone con titoli ingannevoli, Amartya Sen è “l’economista
dal volto umano”. Io non ne ho una definizione perché sono un perfetto
ignorante, ma queste etichette mi fanno sentire limitato.
La scelta di combattere le disuguaglianze
economiche globali attraverso lo studio dei fenomeni legati a questa scienza, nasce
nel piccolo Amartya, bimbo festante sul prato di casa sua, dalla visione
terribile di un assassinio per motivi religiosi proprio sul cancello di casa
nella regione del Bengala. Questo è quello che lui racconta con tono sommesso
ma assolutamente viscerale, deciso e scientifico. Il suo linguaggio è dolce
anche quando parla di stagflazione.
La vita delle persone prende pieghe inaspettate
per fatti magari non così traumatici ma altrettanto incisivi. Un’accetta
colpisce un albero senza magari che il robusto vegetale se ne accorga, tuttavia
nella sua solida corteccia resterà inciso per sempre un segno. Le cellule
probabilmente si immoleranno per ricordare che qualcosa ha colpito il bersaglio.
Un monito? Un autografo del destino? Più semplicemente, il gesto poco
rispettoso di uno stolto che passava in quel bosco.
Quando il vento si placa e il reverbero del sole
nell’acqua fa scintillare il gigante che mi circonda, riesco a non pensare a
nulla per almeno un minuto e mi godo ad occhi chiusi questo caldo inaspettato,
talmente umido da farmi gocciolare la fronte e le palpebre chiuse lentamente.
Questa terapia solare la chiamo gocce di
luce, e mi farebbe piacere ospitare nel faro un poeta perché possa
utilizzare per descrivere questa sensazione parole che non ho, perso come sono,
nella mie inutili e solitarie elucubrazioni.La vita ti fa scegliere in continuazione e adesso scelgo di rientrare in casa perché inizio a sentire freddo. Mi chiudo e quasi istintivamente mi dirigo verso il cucinino, intento a prepararmi una merendina.
Amartya Sen sostiene che«l’economia è la scienza della scelta». Io sostengo, senza un Nobel
per l’Economia in tasca, che vivo alcune scelte in maniera traumatica e questo
è un male. Proprio ieri, o forse ieri l’altro, ho avuto una sorte di visione
durante le gocce di luce. Mi è apparsa una splendida fata bianca molto in stile
“Lord of the Rings”, che avvicinandosi a me ha intriso un piccolo fardello di
seta bianca sulla mia fronte asciugandone l’intera superficie. Poi mi ha parlato
con fare fiabesco e strizzato perfettamente le gocce di luce in un piccolo
boccettino di vetro il cui effetto al sole creava i colori dell’arcobaleno: «Queste saranno la tua luce nei momenti più
bui».
Adesso, può anche darsi che abbia smaltito
l’ultimo frammento di ubriacatura della bevuta con Jenny, ma credere in questa
assurdità rende la mia giornata decisamente migliore. Il faro mi sta mettendo
davanti ad alcune decisioni; il faro stesso è motivo di scelta. Il mio faro è
magico, mi basta nominarlo e subito mi
arriva un sms di Jenny: “What are you doing?” Le mie due teste mi danno impulsi diversi. Una stimolazione puramente fallica e l’altra filosofica o meditativa. Mando un messaggio al marito di Rachel che sta giocando a bersi la paga al pub del porto per dirgli se è disponibile a fare da taxi per un… collega?
Non risponde, è certamente ubriaco, sono costretto
a chiamarlo. Peter ubriaco saluta felicissimo, ma mi prende per sua moglie.
Alla sua volgarissima avance sessuale telefonica rispondo mestamente con
l’invito a tranquillizzarsi, perché, al di la della simpatia reciproca, tra me
e lui non può esserci nulla che vada oltre l’amicizia.
Scoppia in una fragorosa risata e poi acconsente
alla mia richiesta raccomandandomi di non aver pietà. Bene: una testa ha
prevalso sull’altra. Chiamo Jenny e la invito a farsi trovare al moletto 2
entro venti minuti con molta birra possibilmente non già in corpo.
Lo scotch lo metto io: Bowmore Casket Strenght
vintage 1989. Un whisky full proof che emana torba, legno, salmastro e fiori a
53 gradi. Lei in realtà non apprezza e magari ripiegherà sulla vodka alla
frutta che uso normalmente per fare dolci speziati tipo le albicocche al pepe
di Szichuan o altre vaccate simili.
Jenny emozionatissima per il faro e non certo per
me approfitta di alcuni giorni di riposo dall’ufficio notarile presso cui
lavora da oramai sette anni. Il primo di questi giorni lo dedica a me e credo
voglia dare tutta se stessa per farmelo capire.
Le ho promesso che se l’indomani pomeriggio il
tempo sarà clemente, le regalerò delle gocce di luce e lei è curiosissima e mi
riempie di domande.
Non riesco più a scrivere né a pensare. Faccio una
doccia rapidissima, preparo uno stuzzichino veloce da servire all’aperitivo, e tolgo
la maschera da guardiano del faro almeno per stanotte. Il cielo stellato mi
segnala che nulla andrà storto nemmeno domani e a me non resta che dare
l’ultimo segnale in capitaneria.
Il mio faro non diventerà un monastero marino,
perlomeno non questa notte.
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