24 giugno 2014

Lettera numero 24: Tra miseria e fortuna...


Tra miseria e fortuna

Ho un amico color paglierino di fronte a me, più o meno all’altezza della bocca. Si chiama “Isle of Jura 21 Years old” e trattasi di un amico whisky (scozzese ovviamente visto che termina con “ky” finale a dispetto dei colleghi americani o canadesi che terminano in “key”). Vellutato, equilibrato e persistente: un magnifico esemplare tremendamente intenso e giustamente caro.

Mi sento povero questa sera ed è una sensazione sgradevole.

Naturalmente non parlo di soldi, quello sono l’ultimo dei miei pensieri perché come quasi certamente tutti o quasi sapranno, i guardiani di fari sparsi per il mondo vivono con poco: qualche emozione per lo più. Preferirei essere semplicemente triste per una circostanza o magari un po’ adirato: ma non è questa la sensazione.

Alterno rimpianti a sgradevoli constatazioni su me stesso e sulle mie incapacità di svendere quel poco di realismo che il buon Dio mi ha dato, con qualche strampalato sogno che inevitabilmente scioglie le sue ali di cera avvicinandosi al calore.

Non so come e non so perché, l’ultima ancora femminile che mi incollava ad una pseudo esistenza in quel di Scozia (Jenny), è diventata probabilmente la valchiria per qualcun altro, visto che non mi ha più ceercato da oltre un mese.

Per citare un ex collega siculo “non è chistu u probblema”. O forse si.

Ho in pugno un cucchiaio con il quale scavo impossibili gallerie dirette al mio cuore. Intaglio me stesso nel peggiore dei modi raccomandabili: molto e male rifacendomi involontariamente al masochismo così tipico del primo movimento punk del finire degli anni settanta.

Siamo presumibilmente creature solitarie, ma non riesco ad accettarlo probabilmente perché la mia voglia di amare è molta e giunto alla fine del settimo bicchiere, sono fermamente convinto sia stato uno spreco aver infuso anche solo un pizzico di questo sentimento in me.

L’alcool non affoga alcun dispiacere e meno che meno lo può fare un distillato così buono che, al limite, accentua l’amarezza di alcuni pensieri solo per il fatto di essere così dannatamente buono.  

A questa prefazione del nulla segue ancor meno.

L’impeto spasmodico delle onde su una barca ormeggiata in un pomeriggio burrascoso.

Il roboante ed impetuoso frastuono della pioggia intensa sulla lamiera della baracca di un povero disgraziato.

Il sorriso lievemente disgustato di alcune persone superbe e l’odore della sala di aspetto di un medico di provincia in un piovoso mattino: questo sono io adesso e non posso che crogiolare nel mio disappunto.

Non è il male di vivere, ma è vita anch’essa.   

Non è la fine del mondo, ma è un pezzo del mondo.

Non è la mia normalità ma è il lato oscuro che la circonda.

Mi dirigo mestamente verso l’uscita del pub e il barista mi raccomanda di non prendere la barca in quello stato indicandomi lo sgabuzzino salva ubriachi. Lo apostrofo con un impossibile turpiloquio italo anglofono sottolineando che quello è il posto degli ubriachi e che io sono il guardiano del faro Bell Rock, il più antico e prestigioso faro scozzese.

Abbandono la ridanciana atmosfera tra uno spintone di un collega di bicchiere e uno sfottò per uscire al di fuori e venire assalito dalla realtà ventosa che mi fa da cornice ogni giorno oramai dall’ottobre del 2012.

Sono certamente ubriaco e materialmente più povero di almeno 110 pounds ma non sono così coglione da prendere la barca e dirigermi al faro in questo stato.

Mi sbottono in maniera tutt’altro che garbata ed elegante i pantaloni e, come sempre capita a noi idioti alcolisti occasionali, faccio una fatica assurda per non urinarmi addosso. Il goffo tentativo riesce per mio stupore ed è in quel romantico momento che sento una vocina famigliare.

Mi giro coprendo la mia timida e freddolosa escrescenza con qualcosa che impugnavo in mano del quale nemmeno riesco a dare un connotato e con sguardo inebetito e occhi iniettati di whisky mi ritrovo faccia a faccia con la signorina Dunhill, Jenny per l’appunto.

In quel preciso momento mi rendo conto che la serata al pub era solo l’after dinner di una giornata  cominciata a vino rosso e provo indignazione per come ho fatto a conciarmi in quel modo vergognoso e che a tutto si confà tranne che a un light house keeper con tanto di divisa di ordinanza primaverile di uno splendido blu che si perde nella penombra del vicolo.

Jenny è così gentile e premurosa da ridarmi un tono e quando si avvicina sento con piacere le sue mani calde e il suo profumo si mischia al prevalente odore di alcool che emetto da ogni singolo poro.   

Mentre ci incamminiamo verso casa la sua espressione  si faceva più severa e credo mi abbia redarguito in una o più occasioni, senza nemmeno immaginare che era probabilmente lei stessa la causa di quella infausta serata. Forse mi vuole bene?

Non riuscivo nemmeno a stare in piedi ma continuavo ad annuire per rispetto reverenziale a ogni sua incomprensibile frase nei miei riguardi sventolando il pollice verso l’alto da perfetto idiota.

Alcuni sprazzi di lucidità di alcuni secondi, mi avrebbero indotto a pensare che mi sarei presumibilmente svegliato nel divanetto di Jenny vicino al bagno con un secchio di plastica in mano ma non è stato così.

Il mio angelo custode quella sera ha dormito tutta la notte abbracciandomi e assistendomi mettendomi perfino in imbarazzo con le sue attenzioni, creandomi così un grande senso di colpa e di disagio.

Ho pensato per rabbia le peggior  cose di lei solo qualche ora prima al pub ed è anche per questo mio meschino modo di agire che a volte allontano le persone che probabilmente a me tengono per un motivo inspiegabile ma reale.

Sono incredibilmente felice nel sentire i suoi seni sulla mia schiena e avrei il mondo in mano se non dovessi trattenere i conati a denti serrati.

La mia insensibile mano stringe con vigore la sua così pallida e affusolata ed è in questo momento l’unico modo che ho per poterle dire: GRAZIE. 

Il giorno seguente almeno un faro nel mondo non avrà un guardiano, questo è certo; ma la signorina Dunhill di ritorno dall’ufficio notarile presso cui lavora, avrebbe trovato attaccato alla porta questo messaggio:

Dolcissima signorina Jennifer

Faro del mio faro,

Inarrestabile rigagnolo di serenità.

Scorri la vita con un dono del quale nemmeno sospetti:

ricetta perfetta per il sorriso dello spirito.

Nutrimi con il tuo sudore

e macchia ogni squarcio di mondo che tocchi

con le tue tonalità di giallo.

Nel tentativo di comprendere ciò che sei veramente,

Mi arrendo a un’ennesima veglia ingenerosa

 

 

Con affetto Andrew

 

2 commenti:

  1. È sempre un piacere leggerti...dai diciamo che hai fatto la tua "bella porca figura" ;-)).Un saluto

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