22 novembre 2012

Lettera numero sett-e: GHESS & WILLIAM, FALLIMENTI e MALAPOLITICA…..

Quando ero piccolo avevo due amici immaginari che si chiamavano Ghess e William. Vivevo in un orfanotrofio gestito da suore alle porte di Milano e la mia vita scorreva come in una puntata di un moderno programma per bimbi.

Questi due incorruttibili amici mi aiutavano in tutto ed assistevano impotenti ad ogni mia piccola mossa: monellata o bel gesto che fosse.

Mi ricordo che commentavano ogni stupidata ed io ero molto polemico con loro e molto spesso gli ricordavo chi fosse a comandare in quel teatrino.

Quando ne combinavo una grossa però li ascoltavo: mi rimproveravano tentando di spiegarmi perché da un brutto gesto avevo ottenuto una reazione negativa. Ebbi a che fare per le prime volte con una parola che poi ha accompagnato il film della mia vita molte volte e cioè fallimento.

Nella nostra cultura (ed ancor più in quella nipponica) il fallimento è un onta indelebile che dovrebbe gettare nello sconforto ed in una situazione psicologica punitiva chi lo compie ma francamente non lo capisco.

Sono finito qui nel più antico faro di tutto il Regno Unito proprio per un mio ennesimo fallimento e ne sono felice, o perlomeno inizio a covare quell’insoddisfazione che si rivela un preludio di una nuova fase. Diciamo che è una sorta di anticamera della felicità.

Tutti gli errori ed i piccoli fallimenti fatti in realtà, ci hanno permesso di diventare persone più o meno fragili ma sostanzialmente cresciute. Un caro amico dopo oltre 20 anni di matrimonio mi ha comunicato della sua imminente separazione come fosse un amputazione ma non credo sia così francamente. Credo sarà lui a determinare un eventuale rinascita e gli ho suggerito se così fosse, l’effetto Zanardi.

Dovremmo iniziare a rivalutare e reintegrare la parola fallimento in senso positivo. All’età di quattro o cinque anni, disubbidendo ad un ordine della dolcissima Suor Anna, decisi di saltare giù dal letto a castello. Mi ruppi tre denti ed ancora adesso potrei descrivervi perfettamente il tremendo rumore di osso spezzato del dente sul freddo pavimento di marmo rosso e giallo stile anni ’30 ed il sapore del sangue caldo in bocca tra le urla generali. Sapeste Ghess e William quante me ne hanno dette? Erano furiosi!

Qui nel faro non ci sono Ghess e William ma credo di non averne bisogno (io), perchè mi ricordo perfettamente molti dei miei fallimenti e tutti mi hanno portato ad una conseguenza negativa immediata. Un ode a chi ha dovuto mangiare un po’ di pane e cipolla consapevole di essere lui l’artefice di quel salto. Un abbraccio a chi ha odiato il telefono nel domandarsi se fosse la banca o l’amico generoso che chiamavano non certo per gli auguri di Natale. Un plauso a chi ha dovuto accettare situazioni sgradevoli per anni vivendo con la molletta al naso: abbiamo molto in comune amici miei. La prima volta che andai ad abitare da solo mi feci prestare dei soldi da un amico e dormii un paio di mesi senza luce, gas, acqua calda e riscaldamento. Scroccavo la doccia a turno dai colleghi ed in cambio offrivo loro la colazione e di sera dormivo con una giacca da metallaro addosso, non tanto per il caldo quanto per il valore affettivo legato a molti concerti in giro per l’Italia.

Chi non ha mai assaggiato la sconfitta o pagato per i propri errori non può dire di aver vissuto a pieno la propria vita e se ancora non lo ha fatto gli consiglio di provare anche se avesse 60 anni. Nel farlo scoprireste anche parole come umiltà ed orgoglio che se ben dosati riescono ad aiutarci molto tra un fallimento e l’altro.

Forse è proprio questo uno dei motivi per cui anche qui dalla Scozia tendo a detestare molti nostri politici, perché penso che alcuni di loro abbiano sempre lasciato il conto da pagare ad altri. Chissà chi?

Sono stufo ed anche un po’ schifato del fatto che nessun intellettuale e nessun organo ufficiale non prenda una posizione contro un modo unilaterale e utilitaristico di gestire la cosa pubblica, ma è la storia del mondo forse ed io sono un ingenuo di quasi quarant’anni. I sogni di milioni di famiglie, di aziende e di persone sono controllate da banche pubbliche o private che hanno perso totalmente il senso del proprio ruolo divenendo di fatto soggetti che speculano con soldi pubblici. Così eteree, così lontane e così slegate dalla vita delle persone. Sembra un film di Terry Gilliam in stile Brazil.

Questa crisi che le banche stesse e la finanza hanno creato dando a noi il conto da pagare ha coniato una parola nuova: economia reale. Ma perché fino adesso il circuito nel quale agivamo era virtuale? Naturalmente parlo da ignorante  e sono certo stia scrivendo un sacco di fregnacce, ma quando ho delle sensazioni come quelle che ho adesso è certo che qualcosa non quadri.

Molti di questi luminari che ha occupato i gangli vitali d’ Europa e d’Italia, ha sempre condotto una vita agiatissima e privilegiata senza  probabilmente mai pagare per gli inevitabili errori che chiunque commette nell’esercizio delle proprie funzioni. Si permettono di chiamare “capricciosi” i ragazzi molti dei quali laureati con il massimo dei voti ed il minimo dello stipendio sindacale e privo di contributi, mentre dimenticano che i loro rampolli coscritti degli “sfortunati” già guidano aziende pubbliche non certo per meriti sul campo e a condizioni a dir poco invidiabili.
La loro arroganza e la loro supponenza è tale che decidono della vita altrui senza
nemmeno pensare alle minime conseguenze ma verificando libri o studi di settore e considerando di fatto i numeri più importanti delle persone. Un’azienda fattura due milioni di euro l’anno ma deve cinquanta mila euro alla banca: insolvente iscritto nel registro dei debitori. Ma fare il proprio lavoro no?

Nei loro castelli d’avorio legiferano su materie come l’agricoltura per esempio, senza annoverare tra i propri superpagati consulenti un contadino: populismo? E chi se ne frega! Se devo imparare a fare del vino vado da un viticultore ed un enologo a farmi insegnare; il fatto che prenda in mano un libro poi, non può che aiutarmi.

Se anche queste mediocri persone al posto di comando avessero avuto due amici immaginari severi o per lo meno avessero pagato anche solo una volta per un loro fallimento, probabilmente non scriverei da un faro in mezzo ad un meraviglioso nulla e magari non mi ricorderei di Ghess e William…

“Il telefono squilla minaccioso signori; le cipolle sono servite sul tavolo  gentili commensali ed è ora di mangiare: levatevi la molletta dal naso altrimenti non sentirete il profumo della vita” disse il maggiordomo.

Auguro a tutti di fallire e riprendere in mano la propria vita: non sarà un letto di rose forse, ma è un esercizio che sveglia le coscienze e aiuta a specchiarsi ogni mattina.

 

7 commenti:

  1. I miei amici immaginari mi hanno sempre consolata dei miei errori e se vuoi chiamiamoli fallimenti,ma fallimenti non sono, solo tentativi non riusciti come disse buon Edison.

    Quanto scrivi è una realtà che ci sbatte sul muso. la triste realtà di avere lasciato che creassero un mondo e un sistema per noi.

    Servirebbe un buon Merlino( la consapevolezza) per risvegliare le coscienze dei Puffi addormentati che fino a ieri credevano di vivere a Fantasia e non si erano accorti di trovarsi invece nel ventre della balena.

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  2. Belle parola Carolina. Pollice alzato ;) Mi fa tanto piacere avere i tuoi commenti a fine lettera, davvero. Continua a seguirmi cercherò di fare il possibile per scrivere anche quando il lavoro non me lo permetterà!

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  3. Pensavo...ma lì in quel paesino sperduto della Scozia :-) non circolano in giro quelle belle leggende nordiche da raccontarsi fra amici davanti al camino mentre il mare è in tempesta?...Se tante volte ne senti una da raccontare :-)...

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  4. In effetti Carolina qualcosa ho sentito in giro, appena Andrew andrà a cena da uno dei suoi colleghi della capitaneria magari si farà raccontare qualche bella storia magari tratta dall' Edda di Snorry... ti auguro la buonanotte

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