06 novembre 2012


Lettera numero cinqu-e:
Nella mia ora di libertà – Cazzeggio e riflessione

  Questa mattina sono a passeggio per Arbroath perché ho vinto una pseudo-gara di cucina con Mrs. Rachel, la guardia di confine bulgara travestita da segretaria del sindaco. Suo marito farà le mie veci nella mia casetta con punta luminosa per tutto il giorno, ma non ho intenzione di stare a menarmela in città. Ho sempre avuto grande coerenza nelle mie scelte merdose e non la smetterò certamente qui in terra di Scozia. Non racconterò della tenzone culinaria perché mi sembra di vantarmi di aver battuto un bimbo a braccio di ferro. E dire che la mia zuppa di farro era assolutamente anonima e priva di cuore, ma Rachel è veramente una pippa con le zuppe.

 Intanto per strada osservo la rara fauna locale, la figa stallo Aberdeen. Taglio alto, muscolatura possente e struttura importante. Sono strane queste ragazze perché in Italia con questa compattezza potrebbero fare le buttafuori in qualsiasi locale truzzo, o perlomeno irrobustire le file degli ultras in curva sezione “irriducibili”. Eppure alcune hanno dei visi angelici in un corpo decisamente vichingo che stride con alcuni pensieri maschili che non posso rivelare in quanto secretati.

 Se ad ottobre inoltrato la temperatura del mattino è questa, penso che a dicembre o gennaio mi faccio crescere la barba e per tagliarla la spezzo piuttosto che usare il rasoio. Quello serio, da barbiere italiano “Little Italy” naturalmente; spacchi la lametta che devi inserire perfettamente, ed evita di starnutire mentre ti radi onde evitare un graffio Livello 5 (la decapitazione, per intenderci). (1)

 Ho un carissimo amico che da oramai dieci/quindici anni vive e lavora in Edimburgo; chissà cosa direbbe se sapesse che sono qui, bello come il sole, a respirare fluidi salmastri in questo piccolo paesone dove tutti mi guardano non proprio come un alieno ma quantomeno come un caso clinico. Forse un giorno lo andrò a trovare e scriverò la lettera Gita ad Edimburgo.

 Alcuni signori anziani incontrati in un pub, dove alle nove e tre quarti del mattino si sono già vendute birre e whisky sufficienti a risanare il bilancio del comune di Parma, mi hanno abbracciato con fare affettuoso e mi hanno offerto un buon distillato parlando in… non so, gaelico? Non ho capito nulla ma ho sorriso e mestamente ubriaco mi sono diretto all’uscita. Il tutto è durato tipo sette minuti.

 Sogno un cappuccino con schiuma seria (bolle d’aria tonde) ed un cornetto fatto da valente italico fornaio con base di pasta madre, ma mi accontento di entrare in un locale dove con gentilezza e poca poesia mi servono una tisana e una “scrumble pie”: una specie di torta sbrisolona con farine integrali. Il gusto è vagamente accettabile, mentre sulla consistenza credo si possa mettere in soluzione di sciroppo 1:1 e fecola (2) per ottenere una splendida alternativa alla colla da piastrelle al quarzo. Quella Kerakoll, non stupide sottomarche, eh.

 Mi accorgo da questi miei pensieri criticoni e tendenzialmente stronzi di essermi alzato con le mestruazioni, e allora spengo la lanterna rossa, prendo il mio bloc notes verde e la mia Bic blu e scrivo, da questo tavolo marrone, un qualcosa che possa non solo cambiare una grigia e uggiosa giornata ottobrina, ma anche l’epilogo del mio pensiero quotidiano in un colore quanto più possibilmente vicino all’azzurro.

 Mi guardo intorno e prendo un quotidiano locale che in prima pagina pubblica una gigantesca foto di un uomo, presumibilmente importante, ammanettato da due poliziotti nel gesto di farlo “accomodare” in un furgoncino della polizia. Perché allora non indossare la maschera della persona semiseria e magari dedicare il pensiero di oggi alla parola LIBERTÁ, levandomi così il debito che ho contratto con la mia coscienza prima di partire. Sono imbarazzato perché sono certo non troverò le parole giuste per rendere onore a questo splendido concetto, e l’unica magra consolazione è quella di dedicarle a chi la libertà la vive da dentro un carcere. Pagare è sacrosanto, e anche duramente. Costringere migliaia di persone in posti angusti concepiti cento anni fa per un terzo degli attuali residenti no. Non parlo di utilità della deterrenza e non scomodo Beccaria, anche perché emotivamente parlo di dignità, igiene, e istigazione al suicidio.


 Quando l’amore riesce a prevalere sul nostro individualismo, sulle nostre parole e sui nostri comportamenti egoistici, allora siamo in presenza di libertà.
Se invece andando a letto ti circonda un vuoto assordante e fissi il soffitto pensando che tra ventiquattr’ore ripenserai alle stesse cose fomentando involontariamente il tuo senso di inadeguatezza, non sei libero.

La cosa crudelmente splendida della libertà è che in realtà esiste per tutto e tutti, ma spetta ad ognuno volerla abbracciare; e non importa se sei chiuso in un carcere o sei il campione del mondo di navigazione in solitario su kajak.

Ti  sei chiuso in una prigione di acqua, mi ha detto poche settimane fa un carissimo amico dall’Italia, ma non mi sono mai sentito così libero come oggi di esprimere me stesso e dichiarare il mio amore per la vita e per le persone che nei miei trascorsi burrascosi mi hanno regalato un pezzettino del loro miglior “ME” senza chiedermi nulla in cambio.
L’acqua o le sbarre non fermano le idee, ma le stimolano facendole scivolare lontano. Chiunque pensi di essere solo o sfortunato, tenti un viaggio dentro se stesso e scoprirà gioie inaspettate.

 Non tutti possono raccontare la propria infanzia, le proprie esperienze o i propri legami associandoli alla parola felicità, e allora si decide di usare l’odio come linguaggio, scrivendo poesie con il sangue. Sarebbe comodo da parte mia, in quanto credente, scrivere che Dio è con noi (anche se lo credo ciecamente); ma la chiave per uscire dai propri incubi è custodita nel cuore di ognuno di noi: come diceva Bertoli, fonte chiara e pulita…
Sarà banale ma parte tutto da lì, e non potendo cambiare ciò che ci circonda siamo liberi di cambiare noi stessi. Questa è la mia idea di libertà in questo momento del mio viaggio chiamato vita, ed è per questo motivo che non intendo più fissare il soffitto della mia stanza pensando che domani sarà lo stesso giorno vissuto oggi. Libertà.


NOTA 1: i tagli da barba nella scala May giovane che apprendeva la nobile arte della spada da faccia erano cinque.
Livello 1: Graffio del quale non ti accorgi seppure è in grado di sanguinare per ore.
Livello 2: Ops, mi sono tagliato! Lo avverti, devi intervenire con piccola tamponatura e cerottare.
Livello 3: Taglio bastardo, brucia e fuoriesce sangue copioso. È il taglio di livello più alto al quale si arriva più comunemente.
Livello 4: Taglio serissimo da pronto soccorso che richiede punti di sutura. Per farlo devi raderti e contemporaneamente pogare a un concerto degli Slayer mentre suonano Angel of Death.
Livello 5: Decapitazione. L’angelo della morte ti appare allo specchio nell’istante in cui la testa salta come un tappo di champagne Dom Perignon Mathusalem vintage 1979. Le ultime parole che proverai a dire saranno: Eppur si muove!

NOTA 2: Quando in cucina si parla di sciroppo, normalmente si indica la soluzione di acqua e zucchero seguito solitamente da una frazione che ne indica la proporzione zucchero/acqua. Esempio: Sciroppo 1/3 significa un kg di zucchero e tre litri d’acqua.

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