ANDREWMAY73 LETTERA
NUMERO DU –E
come
penso avrai saputo dalla mia valchiria salterina, non sono più in Italia da
qualche giorno. A dire il vero, forse riuscirò a concretizzare almeno per un
periodo indeterminabile uno dei miei sogni: una casetta in mezzo al nulla con
una targhetta recante scritta “Mr. Nessuno”.
Preferisco
non dirti dove mi trovo esattamente, e non per fare il misterioso, ma
semplicemente perché non è pertinente a quello che voglio scriverti.
Mi hai
sempre detto che se io avessi fatto quella scelta personale, oggi sarei stato
meglio sotto tutti i punti di vista. Sappi che la congiunzione SE ha cambiato
la percezione della mia vita. Negli ultimi anni la mia esistenza si è basata
sui SE proprio come la vita dei precari “generazione 1000 euro (quando va
bene)”.
SE avessi
fatto, SE tua cugina, SE non ti comportassi così, SE ti volessi più bene…
Queste supposizioni, come forse altre frasette. sono divenute una sorta di
mantra negativo per un certo periodo. Questo fino a che non ho cambiato
qualcosa in me.
Sono
stato così concentrato nel fare il bravo bambino ed accontentare tutti da
dimenticare cose importanti, come la parola FELICITÀ, divenendo di fatto
infelice. Dunque questa lettera è scritta per parlarti non della mia, ma della
tua personalissima, fottuta INFELICITÀ cronica.
Da anni i
medici diagnosticano depressione e allergie a ogni sussulto dell’umore o
cattiva digestione, aumentando in maniera esponenziale le entrate dei colossi
farmaceutici. La mia banca è differente, ed è per questo che ti voglio
raccontare di un buon uomo che per oltre 40 anni si è spaccato la schiena in
cantiere.
Il buon
Adelmo (muratore classe ‘39, terza elementare e mani-tenaglia), si alzava da
oramai quarant’anni alle 5 del mattino facendo colazione con focaccia ligure e
vino bianco fuori frigo. Aveva una moglie caustica, una figlia estremamente
problematica (eroina), problemi a non finire (debiti di gioco ereditati dal
padre) ma lui imperterrito si alzava alle 5, e Dio solo sa quanto era capace e
professionale. Tuttavia, anche il buon Adelmo qualche volta sclerava, e nei
mesi in cui l’ho aiutato in cantiere, ho assistito a tre terapie D’URTO che
constavano di un rituale preciso e, oserei dire, infallibile.
Fase uno:
esclamare a gran voce senza stacco, “Misonorottoilcazzo”.
Fase due:
prendere il martelletto e lanciarlo verso la struttura più delicata e
facilmente danneggiabile (che infatti andava in pezzi ogni singola volta).
Fase tre:
esibirsi in bestemmie creative per almeno trenta secondi. Scene degne de L’esorcista.
Passavano
cinque minuti di terrore nel cantiere e Adelmo tornava a essere l’agnello
taciturno che era, dispensando di tanto in tanto saggi consigli come muoviti
che c’ho fame. La vita gli tornava a sorridere alle 12:15, quando
cominciava il secondo round con focaccia e vino bianco (fresco questa volta).
Io
pensavo che quel poveretto avesse diritto a regalarci qualche minuto di terrore
psicologico vista la sua situazione merdosa.
Una volta
Adelmo venne da me, che ero il più giovane, e mi disse una cosa che volevo
condividere con te, consapevole del fatto che non sarà un pirla come me a
cambiarti la vita. Ma ti voglio bene e me lo devi concedere.
Mi mise
una mano sulla spalla come farebbe un papà affettuoso, e quasi con tono da
bimbo che svela un segreto a un amichetto, mi bisbigliò: «Sai, Andriu,
io in realtà m’incazzo per finta, così i ragazzi lavorano di più. Non ho mica
bisogno di arrabbiarmi davvero: sono felice, adoro mia figlia Sabina, che è una
ragazza davvero dolcissima; è lei che mi fa andare avanti. E Matilde, poi? Una
moglie che in trentacinque anni di matrimonio non mi ha mai fatto mancare
nulla? Andiamo a mangiare, dai».
Credimi,
Paolo, era davvero felice quando me l’ha detto, gliel’ho letto negli occhi, che
di solito non mentono. Quando un ictus decise che per Adelmo la vita si fermava
lì, Sabina entrò in comunità, e dopo 10 anni complessivi di eroina uscì dal
tunnel della luce più fioca che esista: la luce che ti oscura.
L’ho rivista l’anno scorso al centro
commerciale con i suoi due bimbi, e le ho raccontato questa storia del martelletto
e della chiacchierata con suo padre, di cui lei non aveva mai saputo nulla. Su
quel ricordo abbiamo pianto in due, e dopo circa un mese mi è arrivato a casa
un pacco contenente il martelletto originale di Adelmo e un biglietto con
scritto quanto segue:
Caro
Andrew,
quel
giorno in cui mi hai raccontato di mio padre, ho pianto per ore. Lui non mi
aveva mai detto parole così belle in tutta la sua vita, o forse ero io che non
riuscivo ad ascoltarlo. Soltanto adesso posso dire di essere davvero felice.
Grazie di cuore.
Sabina
La
felicità è ovunque, Paolo: cogliamola.
Okey ho deciso di leggerti :-) molto belle queste lettere,curiosa,corraggiosa la tua scelta e in fondo a me stessa ti invidio il faro :-)
RispondiEliminaCiao Carolina e grazie moltissime, cercherò di fare del mio meglio per regalarvi 5 minuti di benessere ma non essendo uno scrittore faccio leva solo sui miei sentimenti. Io sono in Italia e andrewmay73 è il mio personaggio che racconto con grande passione per le persone che hanno da insegnare e loro storie. Sarai ospite del mio faro ogni volta che lo vorrai Carolina e spero che con te ci siano molti altri amici.
RispondiEliminaBuongiorno :-), te lo auguro anch'io che siano in molti a seguirti dai presupposti è una bella storia, come già detto molto curiosa e penso con molte riflessioni
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